E anche la Dad. Oramai tutti sanno cos'è la didattica a distanza, che da marzo a giugno ha sostituito quella in presenza, consentendo agli alunni di tutta Italia di continuare a fare lezione, apprendere e tenere i contatti, anche se virtuali, con i compagni e gli insegnanti. Non senza qualche sofferenza, però. Bambini e ragazzi sono rimasti a lungo lontani tra loro, e i genitori hanno dovuto dotarsi di strumenti vari perché il telefono cellulare non bastava più e si sono resi necessari webcam, stampante, cartucce e tablet (come minimo). Sebbene questo sia stato l'unico modo per mandare avanti la didattica durante la quarantena (basta "lockdown", please!), la Dad ha avuto molti detrattori, in primis i genitori, appunto, perché hanno dovuto sostenere molti costi, organizzarsi con il lavoro con o senza smart working, pagare babysitter o portare i figli dai nonni nonostante la difficile situazione. I ragazzi hanno dovuto imparare in poco tempo ad usare la tecnologia per studiare, fare verifiche, essere presenti alle videolezioni, quando invece erano abituati a usarla solo per giocare su Fornite o Minecraft. I docenti, che non sono stati certo in vacanza, come più di qualcuno ha ironizzato all'inizio, hanno lavorato il doppio del normale, percependo lo stesso stipendio e dovendo provvedere a spese proprie all'acquisto di un pc degno di questo nome, del wifi illimitato, dei corsi di formazione necessari per capire come gestire le nuove piattaforme didattiche. E i disagi per l'uso prolungato di schermi e videoterminali è stato forte sia per i ragazzi, che dopo aver finito le lezioni, continuavano ad intrattenersi con i video (e qui, mi dispiace, stava ai genitori controllare...), sia per i docenti, che dopo aver chiuso le videolezioni si davano alla correzione dei compiti, ottenendo in cambio dolori alla schiena, al collo e alla vista (vogliamo ricordare l'età media del corpo docente italiano?). Ma la Dad ha avuto anche risvolti positivi...ha catapultato la didattica nel nuovo millennio, mettendo tutti di fronte alla necessità di adeguarsi, a partire dai docenti più tradizionali fino ai genitori che hanno sempre considerato la scuola più un luogo di custodia che di cultura, dimostrando poco interesse verso gli apprendimenti dei loro figli. Gli insegnanti hanno dovuto rivedere il loro modo di approcciarsi alla classe, riadattando e riducendo i contenuti al PC, faticando a volte a tenere l'attenzione degli alunni, a presentare gli argomenti, a superare i vari problemi tecnici: si va dai classici "non va il microfono", "non va la webcam", "non c'è connessione", "è caduta la linea" ai più fantasiosi: "sono a casa con mio fratello e devo badarlo, "mi è scappato il cane" ecc... Ma allora, cosa pensare della scuola digitale? Ancora prima della quarantena, esistevano già delle scuole in Italia dove la didattica digitale era praticata nel quotidiano e dava ottimi risultati grazie ad attrezzature speciali e senza libri di testo, in modo da svuotare gli zaini e alleggerire la schiena. Gli studenti di queste scuole non hanno vissuto grosse rivoluzioni e hanno continuato a realizzare podcast, radiodrammi, giornali d'istituto on line e videogiornali; oggi, fondano start up presentando progetti innovativi in ecologia o scienza, come i robot che salvano le persone da terremoti, alluvioni e altre calamità naturali. Ma una cosa, da insegnante e mamma, devo dirla. A me piacciono le tecnologie didattiche, ho studiato, ho imparato cose che non conoscevo, ho seguito corsi, ho smanettano e sperimentato, creando anche un sito con materiali didattici per i miei alunni (con disabilità). Ma adesso sono esausta...La mancanza del confronto quotidiano con i miei colleghi e con gli alunni, e le giornate intere passate al pc mi hanno sfiancata. Spero che la scuola ricominci in presenza, perché la socialità è il primo bisogno che riconosciamo ai nostri figli e forse il primo motivo per il quale li mandiamo a scuola.
Ho riletto il mio lungo post su Milano, scritto esattamente un anno fa, quando provavo un amore incondizionato per la città e mi sentivo come Carrie negli episodi di SATC in cui “usciva con New York”, ma per forza di cose molto meno elegante e effortless di lei. Chiaro che la mia visione da turista, che va a Milano per mostre o altri eventi, non contempla le difficoltà e i disagi quotidiani di chi ci vive, lavora e si sposta da una parte all'altra della città, tutto il giorno, correndo senza sosta. Persone che alle fermate della metro ti spingono per prendere il treno sennò arrivano tardi al super posto di lavoro e poi sui social ti mostrano le stanze “ampie” due metri quadri spacciati per appartamenti e dati in affitto come se fossero quadricamere, alla faccia di Gianluca Torre, delle sue dimore di charme imperdibili e delle richieste milionarie ma “perfette”. Eppure, niente sembra scalfire l'immagine glamour e accattivante di questa città, in continua trasformazione, sempr...
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