Io adoro Milano. Posso dirlo? Forse l'ho già scritto in passato e non ho mai cambiato opinione. Sono nata lì, oramai 45 anni fa, e continuo a chiedermi come sarebbe stata la mia vita se i miei genitori non avessero deciso di riavvicinarsi alle famiglie quando ero molto piccola. Ci sono tornata per qualche giorno in "gita" quando ero ragazzina e poi un paio di notti facendo scalo con un volo da Lisbona, poi non l'ho più visitata per anni, fino a che non mi sono sposata. Sento forte il suo richiamo, come se ci fossero le mie radici, pur avendo vissuto lì solo due anni e non avendone alcun ricordo (sono stata informata, durante il primo governo Berlusconi, che abitavamo a Segrate. Ma pensa). Nonostante mio marito non abbia un grosso feeling con la città, ci torniamo almeno due o tre volte all'anno, per visitare qualche mostra o vedere i nuovi quartieri e anche lui non resiste alla foto d'ordinanza davanti alla sede del Corriere della sera o della Gazzetta dello Sport.
E mentre noi ragazze guardiamo le vetrine, lui passa due ore alla Biblioteca Braidense, paradiso dei giornalisti ancora innamorati del giornalismo come lui. Poi il risotto e la cotoletta in zona Moscova - e padre e figlia sono sistemati -, il giro canonico in Piazza Duomo con tappa obbligata alla libreria Mondadori dove, ahimè, da qualche mese non esiste più l'edicola con la stampa estera, e mentre mia figlia compra libri, io devo fare la processione nelle edicole se voglio comprare qualche rivista in lingua straniera. Lo shopping lo saltiamo sempre a piè pari e per ovvi motivi - solo una volta abbiamo preso in emergenza una felpa a mio marito per affrontare la fortissima aria condizionata del treno, in un negozio di moda ultra-giovane che lo fatto sentire molto a disagio. E dopo uno sguardo veloce al menù dello chef stellato di origini vicentine che ci strappa sempre un sorriso dolceamaro (il menù naturalmente, non lo chef), ci rivolgiamo direttamente all'arte.
Non si sprecano i salti di gioia adolescenziale ma facciamo sempre in modo di unire quello che piace a noi a quello che piace alla nostra quattordicenne, con miserrimi risultati: io l'ho costretta a visitare il Cenacolo e le Vigne di Leonardo, io le impongo le mostre, ma quando la miss si aspettava di trovare il Duomo all'uscita della stazione centrale (sto ancora ridendo), ho deciso che era arrivato il momento di incrementare le nostre frequentazioni - noi and the city. Ad aprile, una volta scelto in maniera abbastanza definitiva l'argomento del colloquio orale dell'esame di terza media, abbiamo visitato il Binario 21, poi in libreria come al solito e nel pomeriggio abbiamo approfittato per dare un'occhiata ai nuovi quartieri: Citylife e le Tre Torri, ovvero tanto rumore per un centro commerciale e la Piazza Gae Aulenti, sicuramente meno nuova ma forse più aggregante per i giovani. E su TikTok e Instagram è un tripudio di video zeppi di consigli e indicazioni su dove bere, mangiare, fare shopping, lavorare da remoto, studiare con uso gratuito e illimitato di internet, andare a fare l'aperitivo sul rooftop o rinfrescarsi in piscina, a poco prezzo e per tutti i gusti - etnico, vegano o solo carne, food experiences varie ed eventuali ovunque in città e a profusione in periferia.
Perché Milano è la Londra d'Italia, la terra delle opportunità, delle tendenze, delle anteprime di moda e design, dell'arte, della street dance, dei perfomers liberi di esibirsi richiamando l'attenzione dei passanti; la città dove molti - per un periodo anche io - sognano di andare a vivere perché ricca di stimoli e di possibilità. E in effetti, tra università che offrono corsi di studi unici, scambi culturali, viaggi all'estero anche in America (vedi Università di Palo Alto, che non è solo in California), professioni più uniche che rare e poi feste, spettacoli di musica e teatro, eventi con star della tv e young writers, la città richiama come carta moschicida non solo la Generazione Z, ma anche noi boomers.
Ma come sappiamo, non è tutto oro quello che luccica, Milano è una città ricca e sicuramente una città per ricchi. L'editoria, che qui da almeno un secolo ha impiantato il suo business, risente della crisi economica come e più di altri settori e facendo informazione riporta la notizia in tutte le sue sfaccettature, concentrandosi, in particolare nell'ultimo periodo, sul caro affitti per gli studenti fuori sede, che arrivano a pagare 800 euro al mese, spese escluse, per una "camera singola" in appartamento, cifra che scende a 450 euro per una branda in "camera tripla" a mezz'ora di metropolitana dall'università, quindi tutt'altro che "nelle immediate vicinanze".
Ma sono le famiglie a pagare il prezzo più alto, in tutti i sensi. Tante madri, con lavori professionalizzanti e non single - quindi non si parla di nuclei monoreddito - hanno dichiarato in alcune recenti interviste che per non allontanarsi troppo dalla sede di lavoro e per far frequentare ai figli scuole di buon livello, restano a Milano nonostante i costi proibitivi degli appartamenti, e per farlo rinunciano a tutto. Niente auto, niente palestra, parrucchiere ed estetista due volte l'anno, visite mediche solo se non rinviabili a causa di qualche problema di salute, niente corsi di inglese per i figli, né centri estivi privati, al massimo quelli parrocchiali perché costano meno. Vacanze al mare solo una settimana o due se i genitori si alternano, gli altri viaggi sono stati aboliti da tempo, rimane solo qualche gita fuori porta, il caffè al bar ma la merenda e i pasti rigorosamente a casa ( e la spesa alimentare non è economica). Se invece queste famiglie scelgono di andar via dalla città, ad un'ora o più di auto o treno, rinunciano a tutte le opportunità che questa può offrire: le poche iniziative gratuite, i servizi accessibili anche se non vuoi prendere l'auto, la sensazione di essere al centro di un mondo aperto e moderno, al passo con i tempi o che addirittura li precorre.
In effetti, tutte le volte che da Vicenza ci spostiamo per trascorrere un giorno a Milano, dal punto di vista economico non è uno scherzo neanche per noi: tra biglietti del treno andata e ritorno, parcheggio per l'auto in stazione, ingressi alle mostre o ai musei - che adesso si prenotano obbligatoriamente online con acquisto maggiorato dalla prevendita - un paio di passaggi al bar e una pausa pranzo veloce, si fa presto a spendere la cifra che si pagherebbe trascorrendo un weekend in qualunque altra città. E se è impegnativo per i turisti, figuriamoci per i residenti. Forse Milano dovrebbe rispettare di più i suoi abitanti e gratificarli. Sarebbe ancora più bella.
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