e lavoro incauto. Troppo? Oramai tira aria di cambiamento e sognare non fa mai male. Ogni tanto su Fb compare un test, il cui topic è "se avessi potuto scegliere il lavoro dei tuoi sogni, oggi cosa saresti?". Il mio sogno da studentessa era diventare interprete parlamentare; mentre studiavo alla facoltà di lingue mi immaginavo in viaggio, in giro per l'Europa o per il mondo, ovviamente munita di appartamentino a Bruxelles (beata incoscienza), in tailleur durante le sedute del Parlamento europeo, con le cuffie e il microfono, in cabina e magari inquadrata nelle riprese di qualche telegiornale internazionale. Insomma, avevo accuratamente immaginato ogni dettaglio, talmente bene che poi non è successo e la mia vita ha preso una piega completamente diversa. Anche da insegnante ho sempre cercato di reinventarmi, uscire dagli schemi, trovare idee e progetti diversi dal solito, non solo per stimolare i miei alunni ma anche per continuare ad avere una motivazione nonostante il passare degli anni. Forse dovrei dire anche io che la dad mi ha cambiato la vita, ma non è stato proprio così: già da qualche anno avevo scoperto le tecnologie didattiche digitali e le trovavo divertenti e accattivanti. Quando le scuole sono rimaste chiuse, non ho subìto traumi, a parte il carico maggiore di burocrazia e un'attenzione ancora più forte verso gli alunni. Lavorare da remoto mi piaceva, già da tempo preparavo le mie lezioni online e pescavo in rete i materiali di cui avevo bisogno.
Adesso, mentre si ricomincia a parlare di dad per i ragazzi a casa con il covid e di mascherine nei luoghi chiusi, penso che dopo due anni siamo tutti della pandemia e vogliamo giustamente riprendere una routine più rilassata, ma forse ci siamo lasciati andare troppo presto. Sempre sul tema lavoro.. io ero ben contenta che le riunioni si svolgessero online e non in presenza: niente giri in macchina, con perdite di tempo e benzina, possibilità di conciliare più facilmente lavoro e famiglia e di avere un pò di tempo libero dopo anni. Ora è mia figlia, che, come sapete, ha tredici anni, quella contenta delle mie riunioni a scuola, finalmente la mamma la lascia a casa regalandole un pò di privacy - mentre io riesco solo a chiederle di messaggiarmi continuamente mentre sono via. Per conto mio, ricavato un angolino nella stanza/disbrigo dove stendo, stiro ma ho anche una scrivania tutta per me e una tenda per nascondere asse e ferro, a casa lavoro anche volentieri. Leggo, correggo, faccio ricerche online, preparo materiali e lezioni, mi alzo ogni tot per sgranchire le gambe, cucinare e fare il resto e mi sento padrona del mio tempo. Non sempre sono contenta di restare fuori e mangiare panini e quando corro avanti e indietro tutta trafelata, mi sento a disagio perché rischio di trascurare o dimenticare qualcosa di importante. Non mi è mai piaciuto non riuscire a controllare tutto, ma adesso sono venuta a più miti consigli e non ritengo necessario trasformarmi in Wonder Woman, la quotidianità mi basta e mi avanza. So che per molte donne non è così: lo spazio e il tempo fuori casa sono importanti, spingono a prendersi cura di sé, del proprio aspetto, delle proprie capacità di relazionarsi con le persone al di fuori del nucleo familiare e va benissimo così. Forse nel mio caso è più una questione di pigrizia, se a casa mia sto bene. Ma nella vita non si sa mai.
Nel giro di pochi mesi, le circostanze e il periodo in cui viviamo hanno aperto nuove importanti questioni. Due anni fa, durante il lockdown, moltissimi dipendenti del settore pubblico - scuola in primis - e anche privato sono stati collocati giocoforza in smart working e hanno dovuto sostenerne i costi, sottoscrivendo abbonamenti per wifi, connessioni mobili, seconde linee telefoniche pagate di tasca loro senza rimborsi dai datori di lavoro né dallo stato. E' sembrata a tutti una grossa sperequazione, ma i vantaggi in termini di traffico, inquinamento (e anche qui, non è tutto oro quello che luccica perché internet inquina eccome) e tempo hanno spostato la questione in secondo piano facendola addirittura sembrare, ad un certo punto, vantaggiosa per l'economia e per la società. Le compagnie telefoniche si sono sbizzarite e le offerte per le famiglie si sono moltiplicate a dismisura, i pc sono stati messi in vendita a prezzi mai visti, i vari tablet e i cellulari "vecchi" di qualche mese erano sempre in sconto e anche i nonni si sono ritrovati supertecnodotati, perché ce n'era necessità. Ma tutti questi oggetti che oggi sembrano così indispensabili vanno caricati a corrente e con la crisi energetica alle porte e le ipotesi sulle prossime bollette - si parla di un raddoppio delle tariffe e del costo di trasporto dell'energia - adesso lavorare a casa da remoto non è più così desiderabile. L' interrogativo che era stato messo da parte -"perché devo lavorare a spese mie e non dell'azienda?" - riemerge più attuale che mai. Il discorso ovviamente è diverso per i liberi professionisti, come traduttori, content creators, imprenditori digitali, perché l'uso dei device e la connessione veloce è alla base della loro professionalità. E quindi, che si fa? Molti propongono di incrementare le strutture adibite a coworking per suddividere i costi e risparmiare energia, ma non tutti i settori possono adottare una soluzione come questa, specialmente nella pubblica amministrazione. Ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni? Se ne parla da anni ma in Italia questa idea è sempre accolta con scetticismo e poca convinzione - agli occhi dei paesi stranieri, in fondo noi italiani sembriamo già quelli che lavorano meno di tutti.. e non solo gli insegnanti! E comunque una proposta di riduzione delle aperture per contenere i costi di luce e riscaldamento, che è stata già avanzata, riguarderebbe piscine, palestre, persino le scuole ma non, ad esempio, i centri commerciali, veri mostri mangia-kilowatt. Non tutti possiamo trasferirci dall'altra parte del mondo e inventarci una nuova vita, andare a lavorare da remoto in Thailandia o in Indonesia, dove tutto, dall'affitto al cibo ai vestiti, costa molto poco rispetto alla media occidentale o a certi giganti come Cina e Giappone. E non è giusto continuare a chiedere rinunce a chi già ha un tenore di vita medio - basso. Cosa penso di fare? Mi butterò sul pitch - working, invidiando un pò chi è così influente da scrivere o dire sui social "Smettete di lavorare". Ma voi seguitemi lo stesso per altri consigli!
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