Passa ai contenuti principali

Con la moda circolare il cerchio non si chiude

"Mamma, ordiniamo?" Questa innocente domanda, con verbo al plurale, mi è stata posta più volte da mia figlia non al ristorante ma a proposito del carrello di abiti, piuttosto pieno, su una nota piattaforma cinese onnivendola, al cui fascino cedono non solo le ragazzine - banalmente causa influencer - ma anche donne adulte, più o meno giovani, a giudicare dai numerosi gruppi Fb in cui si sprecano le immagini di outfit acquistati sul famoso sito e-commerce d'oltreoceano . E non si parla solo di vestiti, ma anche di accessori, borse, "gioielli", articoli per la casa. Il motivo di tanto ardore? Oltre alle varie mode del momento, i prezzi. Bassissimi. Costumi da bagno a partire da cinque euro, abiti da sera a dodici euro, collanine a due euro; certo, esistono anche articoli più costosi, ma sono pochi e raramente superano i trenta euro. Le scarpe, che meriterebbero un discorso a parte, nelle recensioni sono definite "comodissime" e costano diciannove euro (parlo di un paio di decollétés con tacco) mentre la qui presente si è scorticata viva con un paio di ballerine prese in negozio in occasione della comunione della figlia, nel tragitto di cento metri da casa fino in chiesa - e, per inciso, queste scarpe assassine avevano un costo che una volta si definiva "medio" ma non basso e la qualità non era così penosa. O forse sono io che ho le estremità di burro. Insomma, signori e signore, il trionfo del fast fashion. Per i  signori, appunto, che saranno contenti di vedere che le proprie compagne cambiano spesso abito senza sperperare quello che resta dello stipendio (probabilmente  senza chiedersi come e perché, oppure, se lo chiedono, si sentono prontamente rispondere "l'ho preso su.."); le signore si possono illudere di avere un armadio ricco di opportunità a basso costo. Ma è davvero così? Per tanti anni, io ho sempre comprato i vestiti nelle catene low cost, sia per me che per mia figlia: abbigliamento comodo, semplice, per la scuola o il lavoro, che si sarebbe presto consumato, bucato sulle ginocchia o sul cavallo giocando in cortile o passato di misura nel giro di qualche settimana. Solo per occasioni particolari o cerimonie mi rivolgevo altrove, sapendo che quei vestiti sarebbero stati usati un paio di volte e poi riposti nell'armadio (o portati al mercatino dell'usato, detto oggi "second hand", che fa più glamour e per ovvi motivi non accetta abbigliamento usato che già comprato nuovo costa i famosi £ 4.99). E senza sensi di colpa: la bambina è piccola, cresce, ha bisogno di cambi continui, io ho un lavoro che mi tiene sempre in movimento e di sicuro il tailleur o la gonna non sono adatti/non fanno per me, questo è quanto posso permettermi ecc...Ed era un discorso comune non solo a madri di famiglia che devono sempre avere un occhio alle spese, ma a ragazze venti o trentenni al primo lavoro, alle prese con le rate della macchina, l'affitto ecc. Poi è arrivato il covid e da allora anche questo è cambiato. Il blocco forzato delle attività produttive ha mostrato a tutti i suoi effetti benefici su flora e fauna di mare e di terra, addirittura, mentre eravamo ancora in quarantena, sono riapparsi i pesci nei canali di Venezia, mentre tutti sappiamo che il fast fashion inquina le acque di fiumi, mari e oceani e produce tonnellate di anidride carbonica. Di moda etica si parlava già da qualche anno ma in modo sbrigativo; al massimo, si portavano in negozio abiti usati per essere riciclati e la storia finiva lì, perché certi trend venivano considerati di nicchia, roba da ricchi o destinata ad un'élite pò eccentrica che può vivere facendo scelte particolari e particolarmente costose. Chi di voi indosserebbe un giubbino di pelle ricavato dalla muta di un serpente (io ne ho vista una anni fa in uno dei tanti rettilari che mi sono toccati in sorte e non vorrei nessun oggetto ricavato dalla pelle di un boa)? Nessuna, credo. Ma uno prodotto con foglie di vite o squame di pesci da pesca sostenibile, forse sì e anche una t - shirt ricavata dalla buccia delle arance di Sicilia o i nuovissimi gioielli in sterling, se avessero un prezzo abbordabile ai più. E qui torniamo alla nota dolente. Per quanto proviamo ad evitare le catene straniere e ci rivolgiamo a quelle italiane, anche queste vendono articoli fabbricati in paesi asiatici, sfruttando  uomini e donne che per una paga di tre euro lavorano quindici ore al giorno, senza assicurazione né diritti; per non parlare delle scarpe tanto in voga tra i ragazzini, in vendita a prezzi stellari e ancora cucite da bambini che non possono andare a scuola né godersi l'infanzia perché schiavi di un sistema economico e produttivo assurdo, denunciato e portato allo scoperto anni fa, ma purtroppo ancora esistente. Che fare, quindi? Ho provato a pensarci seriamente quando mi sono imbattuta nel blog, a cui è seguito un libro, di una consulente di immagine che lavora proprio nel segmento della moda sostenibile, la quale consiglia - ovviamente - di abbandonare il fast fashion in favore di pochi capi, ma di qualità e che suggerisce, per ridurre la spesa, di cercare negozi associati di più brand (che in questo modo possono abbassare i prezzi di vendita al pubblico) e di rivolgersi ai già citati negozi di second hand, che vedono vestiti di lusso a costi ribassati. Certo, non è un passaggio semplice né immediato, considerando anche che spesso questi negozi hanno un range limitato di taglie e vestibilità e, se vendono online, talvolta fanno il reso solo a carico del cliente, che allora ci pensa due volte prima di affrontare una spesa così impegnativa a scatola chiusa. Insomma, per adesso non ho soluzioni, se non quella di rimandare a tempo indeterminato l'operazione "completa l'acquisto" sulla piattaforma cinese, dirottando la figlia - e la mamma - sui saldi, che cominciano  sempre prima ogni anno, sperando di essere brave a saltare a piè pari i negozi low cost. Ma tranquille, l'haul degli acquisti ve lo risparmio... per questo, pur conservandomi discretamente, ho già superato la data di scadenza.

Commenti

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Milanesi si nasce...Taylor's version

Ho riletto il mio lungo post su Milano, scritto esattamente un anno fa, quando provavo un amore incondizionato per la città e mi sentivo come Carrie negli episodi di SATC in cui “usciva con New York”, ma per forza di cose molto meno elegante e effortless di lei.  Chiaro che la mia visione da turista, che va a Milano per mostre o altri eventi, non contempla le difficoltà e i disagi quotidiani di chi ci vive, lavora e si sposta da una parte all'altra della città, tutto il giorno, correndo senza sosta. Persone che alle fermate della metro ti spingono per prendere il treno sennò arrivano tardi al super posto di lavoro e poi sui social ti mostrano le stanze “ampie” due metri quadri spacciati per appartamenti e dati in affitto come se fossero quadricamere, alla faccia di Gianluca Torre, delle sue dimore di charme imperdibili e delle richieste milionarie ma “perfette”.  Eppure, niente sembra scalfire l'immagine glamour e accattivante di questa città, in continua trasformazione, sempr...

Milanesi si nasce...e io lo nacqui

Io adoro Milano. Posso dirlo? Forse l'ho già scritto in passato e non ho mai cambiato opinione. Sono nata lì, oramai 45 anni fa, e continuo a chiedermi come sarebbe stata la mia vita se i miei genitori non avessero deciso di riavvicinarsi alle famiglie quando ero molto piccola. Ci sono tornata per qualche giorno in "gita" quando ero ragazzina e poi un paio di notti facendo scalo con un volo da Lisbona, poi non l'ho più visitata per anni, fino a che non  mi sono sposata. Sento forte il suo richiamo, come se ci fossero le mie radici, pur avendo vissuto lì solo due anni e non avendone alcun ricordo (sono stata informata, durante il primo governo Berlusconi, che abitavamo a Segrate. Ma pensa). Nonostante mio marito non abbia un grosso feeling con la città, ci torniamo almeno due o tre volte all'anno, per visitare qualche mostra o vedere i nuovi quartieri e anche lui non resiste alla foto d'ordinanza davanti alla sede del Corriere della sera o della Gazzetta dello ...

Le guerriere dei tempi moderni

Vediamo un pò chi sono. Le protagoniste dei nuovi romanzi dedicati alle millennials? No. Quelle delle serie Tv? No. Le imprenditrici che creano occupazione femminile senza che la maternità sia un problema? No. Le guerriere dei tempi moderni si trovano sui social - che novità - e sono le guru del fitness. Donne che praticano attività fisica di qualsiasi tipo tutto l'anno, anche all'esterno, col freddo e col caldo, con la pandemia, con il distanziamento, ma soprattutto con la capacità, innata o appresa, di mettere in secondo piano le esigenze di lavoro/ marito/ figli/genitori e di dare la priorità al proprio benessere fisico, facendone anche un fiorente business. Alcune di loro hanno abbondantemente superato gli anta, come la nonna settantenne americana che ha iniziato a fare ginnastica per combattere la pressione alta, l'osteoporosi e i problemi cardiocircolatori di cui soffriva e adesso  è seguitissima su Ig, dove posta reel motivazionali per altre donne della sua età e non...