L'idea per questo articolo - che nei miei progetti è il primo di una serie (non lunghissima, don't worry) riguardo alle nuove frontiere del lavoro post covid - mi è venuta in treno, di ritorno da Milano: a fine agosto, con mio marito e mia figlia, siamo andati a vedere il Cenacolo e le nuove costruzioni in zona Isola. A Milano sono nata e torno sempre volentieri e, mentre mio marito non ha molto feeling con la big metropolis, a mia figlia piace molto: la città delle grandi librerie, dei parchi, degli influencer, delle novità. Sarà per questo che alla fine di una giornata di arte e relax che con il lavoro non c'entrava una granché, ho iniziato a riflettere? Milano, come Londra, è il posto in cui tutto accade prima che altrove, si anticipano le tendenze, si aprono nuove prospettive e sembra che tutto possa accadere. Chissà se anche qui, terra dei primi "imbruttiti del fatturato", arriverà il trend, per ora in ascesa soprattutto nel mondo anglosassone, delle grandi dimissioni. Pare che i giovani, considerati professionalmente tali fino a quarant'anni - ehm - ultimamente rinuncino al mitico posto fisso: se lo hanno, iniziano a metterlo in discussione e se non lo hanno ancora, smettono proprio di pensarci. Quello che dovrebbe essere il sogno di ogni bambino (Checco Zalone docet), il desiderio di ogni diplomato e/o laureato, l'approdo sicuro dopo lo stage, la soddisfazione da regalare ai genitori in speranzosa attesa che i figli "si sistemino", all'improvviso non è più così ambito né desiderabile. E' un fenomeno in crescita e sarà destinato ad aumentare soprattutto nei molti casi in cui i contratti non prevedono tempi di preavviso per il licenziamento da nessuna delle due parti in causa, fattore che stavolta non va a solo vantaggio dei boss.
Ma cosa spinge una persona con dei progetti a rinunciare al posto - e allo stipendio - fisso? Anni fa avrei pensato che questa fosse una scelta insensata: io stessa ho fatto mille lavori e lavoretti quando ero una studentessa universitaria e anche dopo la laurea; alla fine, ho scelto di abilitarmi all'insegnamento e dopo altri anni di studio ho iniziato la trafila delle scuole private e poi della scuola pubblica; essere assunta a settembre e licenziata a giugno mi sembrava comunque un grosso traguardo, specialmente se paragonato ai contratti di collaborazione - chi ricorda i Co.co.co.?- e al lavoro in nero. Oggi invece capisco chi fa scelte diverse. Orari lunghi, turni di notte e nei giorni festivi, senza weekend né feste comandate sono condizioni imposte e non negoziabili; gli stipendi non sono neanche degni di questo nome ed essere alla prima esperienza non significa dover accettare umiliazioni e offese (per fortuna tanti giovani stanno denunciando la situazione sui social): c'è un limite a tutto. Invece ovunque ormai viene richiesta la disponibilità a svolgere qualsiasi mansione, la reperibilità h24 è una pretesa legalizzata, le esigenze familiari sono considerate un ostacolo perché si potrebbe aver bisogno di permessi orari o giornalieri. Gli anni sono passati ma le cose non sono molto cambiate...restano inossidabili quei lavori che non si possono fare per sempre, per i quali ad una certa età arriva la data di scadenza, che non offrono possibilità di avanzamento. E invecchiare in un'azienda non significa aver fatto carriera. Quando avevo vent'anni avrei dato chissà cosa per un contratto part time in qualche catena di fast food ma di certo non immaginavo di diventare project manager in quello stesso settore: pensavo fosse un lavoro solo per giovani. Bisognerebbe restare ventenni per sempre...ma chi vorrebbe lavorare tutta la vita?
E' a questo punto che matura la decisione, dove "matura" è la parola chiave. Licenziarsi da un lavoro poco remunerato, poco creativo, che lascia poco tempo libero, che dà poche soddisfazioni e poche possibilità di carriera, insomma un lavoro "poco", non è facile, perché è pur sempre un lavoro. E dopo due anni di pandemia, con la crisi energetica che bussa alle porte, la parola "cambiamento" è considerata più sinonimo di perdita che di guadagno e nell'immaginario collettivo è una cosa da hippie che non hanno necessità di sbarcare il lunario. Quante volte ho sentito dire "finché sei giovane, vivi con mamma e papà, non hai figli, mutuo, rate della macchina da pagare, te lo puoi permettere, ma poi...". Eppure, statisticamente sono molte di più le persone adulte, con figli e tante responsabilità che fanno il grande salto, con paura, coraggio (o incoscienza) e lo raccontano senza pentimento nei loro libri, blog, profili facebook o instagram. Tutti parlano di lunghi periodi di riflessione, di incertezze, di sacrifici, di paura di fallire e di dover tornare indietro dopo un anno o due perché magari i progetti meditati tanto a lungo potevano non andare a buon fine e invece, con tanta pazienza e resilienza, ce l'hanno fatta a trovare una nuova dimensione personale, lavorativa, economica. Un equilibrio delicato ma meno stressante da mantenere, con più tempo per sé, per i propri cari e per i propri obiettivi (e non per quelli altrui); con un rischio elevato di solitudine - che però si può superare un pò alla volta imparando ad aprirsi a nuove realtà - ma meno probabilità di ritrovarsi in un ambiente di lavoro ostile, in cui essere costretti a guardarsi le spalle perdendo la serenità. Ho letto alcune di queste storie e mi hanno molto colpita, per il coraggio che i protagonisti hanno dimostrato nello stravolgere completamente le proprie esistenze, abbandonare tutti i punti fermi, allontanarsi migliaia di chilometri dalle famiglie e dagli amici che non hanno mai del tutto compreso le loro scelte ma in quel momento commentavano "beato te che puoi". Queste svolte, sulle quali ho riflettuto tanto negli ultimi mesi, sospirando spesso, mi spingono a chiedermi se sono solo apparentemente invidiosa o se invece potrei avere, un giorno, lo stesso coraggio. Per trovare una risposta, continuerò a indagare...ho persino trovato un'agenzia internazionale di nonne alla pari (dai cinquant'anni in su, devo avere pazienza). Ma esattamente, cosa c'è là fuori di tanto diverso, sorprendente, invitante, che rende desiderabile l'uscita dal lavoro e dalla vita tradizionale? Voi cosa ne pensate, lo fareste? Lasciate un commento e stay tuned!
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